Ma cosa succede nei cessi di Montecitorio? La risposta dopo una doverosa premessa: alla Camera i bagni sono tanti. Decine, probabilmente centinaia. I “fatti di cronaca”, guarda caso, succedono sempre nella stessa ritirata. Quella al piano aula. Tra le Poste, il bancomat e la sala stampa. Perché? Perché quegli orinatoi sono un porto di mare. Destinatari non solo dei bisogni dei deputati. Lì pisciano giornalisti, cameramen, dipendenti di ogni grado e scolaresche in visita a Palazzo. Impossibile, dunque, incolpare la classe politica per i misteriosi misfatti che succedono tra quelle quattro mura.
La descrizione del luogo
Gli ambienti sono divisi così: entri e c’è un antibagno con lavabo e specchiere. Di fronte c’è l’ingresso della barberia. A destra le scale che portano al piano di sopra, dove c’è il bagno delle signore. Alle spalle dei lavandini, ci sono prima due file di vespasiani e poi i cessi chiusi. In uno di questi è stato ritrovano un intaglio sulla porta. Lavoro tanto certosino quando indegno: una svastica e un verso di una canzone nazista. Sotto, un censore armato di chiave (o taglierino) e altrettanta ferrea volontà, ha commentato in tempo reale con disprezzo: “Ma vai a cagare”.
La porta della vergogna è stata rimossa subito. Non altrettanto si fece con le mensole un anno prima. Quando il mensile del Fatto (nomen omen) denunciò la presenza di tracce di cocaina sui ripiani del wc. Il test fu eseguito con delle salviettine specifiche, roba da polizia scientifica, e risultò positivo. L’articolo, però, non aveva un sottotesto proibizionista. Accusava i parlamentari non di immoralità, ma di egoismo. Mentre loro tirano col naso, al cittadino neanche una miccia è concessa. Vergogna!
Ladro, ignorante, mantenuto, trafficante. Ora l’onorevole è anche nazi. E questa è una novità assoluta rispetto al vizietto della bianca. Che, invece, è storia antica. La polvere, a Palazzo, è sempre stata un problema. Sono passati settant’anni dal primo deputato beccato col naso incipriato, il repubblicano Santi, stupefacente membro dell’Assemblea Costituente. Se metti su Google “Parlamento” e “Cocaina” ti escono fuori 300mila risultati. Neanche fossimo a Medellin. Si narra di inchieste condotte dentro e fuori al Palazzo. Più volte i politici sono stati accusati di usare la Visa, ma non per pagarsi la cena al ristorante.
La barella
Nel 2006 le Iene fecero un lavoro più mirato. Allestirono un finto set in piazza Montecitorio per fare interviste video. C’era una sedicente truccatrice che aveva in realtà un drug wipe, un tampone rilevatore di sostanze stupefacenti, che venne passato sulla fronte di cinquanta onorevoli. Dodici avevano fumato, otto erano fatti con la barella. Finì malissimo: il materiale è stato sequestrato dalla magistratura e la trasmissione di Italia Uno è stata condannata fino in Cassazione. Anno 2010: per riscattare la classe politica dalle maldicenze, Carlo Giovanardi, all’epoca sottosegretario con delega alle politiche antidroga, organizzò un test volontario con l’esame del capello. Parteciparono in 232, uno risultò positivo alla coca. Gli onorevoli volevano togliersi una pietra dalla scarpa, ma la stessa, evidentemente, era finita nel naso di qualcuno di loro.
Il km zero di Caruso
Da allora l’utilizzo di stupefacenti è alla base del pettegolezzo da Transatlantico. Del tipo: “Hai visto quello che occhi che ha?”, “Hai notato quell’altro com’è su di giri?”. Lucio Barani, ex senatore di Ala, lo disse chiaramente in un’intervista: “Io sono un medico, ho fatto diagnosi per molti anni. Basta che li guardi negli occhi, so riconoscere le pupille di chi sniffa. Poi chiedono la parola in Aula e parlano a sproposito…”. Infine va annotato anche il caso di chi provò a risolvere il problema dell’approvvigionamento. Proprio quello che si dice il prodotto a “chilometro zero”. Si parla di Francesco Caruso, leader dei No global portato in Parlamento nel 2006 da Rifondazione comunista. I suoi due anni di permanenza alla Camere saranno ricordati per la brillante idea che ebbe di piantare la Maria nelle aiuole del cortile di Montecitorio. La coltivazione non attecchì. Causa ambiente insalubre.