Matteo Salvini e Silvio Berlusconi negano il divorzio. Non succederà. Non subito perlomeno. La marcia che porterà il leader leghista all’annessione del resto del centrodestra non si conclude lunedì con la probabile vittoria in Friuli. Il “capitano” non ha fretta. L’idea di andare subito al governo con i Cinquestelle lo alletta, ma non tanto quanto la prospettiva di sedere a Palazzo Chigi da leader di una coalizione maggioritaria. E non da comprimario in un asse spurio tra populisti. Anche Silvio Berlusconi è consapevole del piano dell’alleato. E sta facendo di tutto per arginarlo. A 81 anni, invece di godersi la fioritura delle sue piante rare in Sardegna, corre come un matto da un capo all’altro del Friuli. Dice: chi glielo fa fare? Proprio l’urgenza di evitare che il suo partito diventi un satellite leghista. Come sta accadendo al Sud. In Puglia, per esempio, il capogruppo in Regione Nino Marmo denuncia il “sistematico abbandono da parte di pezzi di gruppi dirigenti dei vari territori, dal foggiano al tarantino” che ha come “unica destinazione” la Lega. A giugno andranno al voto 7,1 milioni di italiani per eleggere 800 sindaci. Senza un segnale di vitalità, Forza Italia rischia di consolidare la sua medaglia d’argento all’interno del centrodestra. Un guaio per uno come Berlusconi che è abituato all’oro.
In Puglia il capogruppo in Regione Nino Marmo denuncia il “sistematico abbandono da parte di pezzi di gruppi dirigenti dei vari territori, dal foggiano al tarantino” che ha come “unica destinazione” la Lega.
Questa è la partita interna. Poi c’è quella del governo. Sia Matteo che Silvio adesso iniziano a considerare meno improbabile la nascita di un governo giallo-rosso. La resistenza dei renziani potrebbe franare dietro le pressioni del Quirinale, che insiste perché il matrimonio tra M5s e Pd si consumi. Al netto delle dichiarazioni ufficiali, uno scenario del genere non dispiacerebbe del tutto al centrodestra. Perché finirebbe col danneggiare più i contraenti di questo patto che i loro antagonisti. “L’Italia si ribellerebbe”, dice Salvini. “Per il Pd sarebbe l’inizio della fine”, commenta Berlusconi. Che insiste nel proporre a Sergio Mattarella l’ipotesi di un governo di centrodestra. Magari un esecutivo di minoranza che, spiega, “arrivi a ottenere la fiducia con le astensioni” del Pd. Al tempo stesso il Cav chiude la porta a ogni collaborazione con i pentastellati: “Di Maio ha detto che sono il male assoluto”, dunque argomento sepolto. “In Europa c’è molta preoccupazione per l’Italia, vogliono un argine al M5s”.
Anche Salvini chiude la campagna in Friuli. “Io non tradisco per qualche ministero. O c’è un governo di centrodestra o non c’è nessun governo, si torna a votare e vinciamo da soli. Questo lo dico a qualcuno che è arrivato secondo e vuole dettare le regole”. Se non va in porto la collaborazione tra dem e cinquestelle, l’ipotesi del voto resta quella più probabile. A questo punto non la esclude neanche più il Colle. Il problema sono le regole di voto. In assenza di modifiche, il rischio sarebbe un Parlamento fotocopia. E i partiti starebbero punto e daccapo. “Se si vuole la legge elettorale la approviamo in 15 giorni, siamo totalmente disponibili. E chi prende un voto in più governa, lista o coalizione”. Lista o coalizione non è come scegliere il petto o la coscia del pollo. Nel primo caso Salvini potrebbe più facilmente portare a termine l’opa sul centrodestra. Ed è quello che probabilmente intende fare.