Ora viene la parte difficile. E tocca a Sergio Mattarella. Il Presidente della Repubblica ha in programma un nuovo giro di consultazioni. L’ultimo. Quello in cui sarà lui a dare le carte. Il Capo dello Stato proporrà una soluzione ai partiti, mettendoli di fronte alle proprie responsabilità. Farà appello alla coscienza di ognuno. Perché l’Italia ha delle scadenze e delle priorità che non possono essere gestite da un governo dimissionario. La politica deve farsene carico. E’ suonata la campanella della ricreazione, fanno sapere dal Colle. E se i leader dei partiti non sono disponibili a collaborare, benissimo. Ma stavolta devono dirglielo in faccia. Non davanti a un microfono o a una telecamera.
Per sessanta giorni Mattarella ha lasciato che i poli proponessero soluzioni, dialogando tra loro. Ha dato prima spazio al centrodestra, in quanto coalizione maggioritaria ma non autosufficiente. Il miracolo sembrava quasi riuscito. Ma quando l’asse tra Lega e Cinquestelle è arrivato a tanto così dal prendere forma, i veti reciproci posti da Luigi Di Maio e Silvio Berlusconi hanno fatto saltare il tavolo. A questo punto il Quirinale ha lasciato il boccino in mano al partito che ha preso più voti, i Cinquestelle. Di Maio ha avviato il dialogo con il Pd, provando a formare una coalizione giallo-rossa. Demolita, tuttavia, in diretta televisiva dalle picconate di Matteo Renzi.
SALVINI CI PROVA FINO ALL’ULTIMO
E si arriva all’inizio di questa settimana. Con i protagonisti della crisi istituzionale tutti arroccati sulle proprie posizioni. Di Maio vuole il voto a giugno, pur sapendo che non è tecnicamente possibile, ammoniscono dal Colle. Il Pd, vittima delle faide interne, ha trovato una nuovo compromesso ritirandosi sull’Aventino (“Né Di Maio, né Salvini”). Berlusconi continua a pensare a un governo di minoranza che parta con l’astensione del Pd. Ma Mattarella vuole vedere i numeri sulla carta, anche degli eventuali astensionisti. E Silvio non è in grado di offrire certezze. Infine c’è Salvini. Che continua a proclamarsi mazziere. E che ieri ha proposto al M5s un esecutivo-ponte, con scadenza a dicembre, incaricato di sterilizzare l’aumento dell’Iva, evitare al Paese di farsi mettere i piedi in testa dall’Ue nella stesura del nuovo bilancio, riscrivere la legge elettorale sul modello delle Regioni. Fatto nuovo? No, al Quirinale l’hanno giudicato come l’ennesimo tentativo velleitario del leader della Lega. Che non a caso non ha avuto riscontro dal versante pentastellato (“Salvini ha già sprecato la sua occasione”).
PRIMO PREMIER DONNA
Ora tocca a Mattarella dipanare questa matassa. Non voleva prendere lui l’iniziativa, ma gli tocca. A Di Maio il Capo dello Stato dovrà spiegare l’impossibilità tecnica di andare alle urne a giugno. Perché il voto degli italiani all’estero necessita di una procedura che va attivata 60 giorni prima. C’è l’ipotesi di indire gli scrutini a settembre. A legge elettorale invariata. Questa è una soluzione che mette i brividi al Colle. Il rischio è di trovarsi un risultato fotocopia, ma con 400 milioni in meno nelle casse dell’erario. Tanto costa la macchina elettorale allo Stato. E farebbero 800 (sommando anche il turno del 4 marzo). Altri che i risparmi del taglio dei vitalizi. Sarà dura convincere i grillini. E se loro stanno fuori dalla “coalizione della responsabilità”, Mattarella sa che anche la Lega farà lo stesso, per non lasciare il “privilegio” di un’opposizione solitaria ai pentastellati. D’altronde i nomi che girano non fanno propriamente gola ai populisti. Circolano quelli dell’economista Lucrezia Reichlin, della vice presidente della Consulta Marta Cartabia, del rettore della Luiss Paola Severino, della direttrice del Cern Fabiola Giannotti.