Voleva fare il ministro delle Riforme. Perché, diciamocelo, Danilo Toninelli avrà anche l’aria da secchione, ma di Infrastrutture e Trasporti non ci capisce una beneamata mazza. “Sto studiando molto”, è stata la prima informazione che ha condiviso incontrando i dirigenti di fascia alta del Mit. E c’è tanto candore in questa ammissione di insipienza.
Che poi l’uomo è tenace. Magari tra qualche mese padroneggerà dignitosamente le sue materie. Però adesso è evidente che non sa che pesci prendere. Spulciando nelle sue cose, vengono fuori ulteriori conferme: l’unica esperienza in tema di infrastrutture è l’acquisto di una villetta a schiera a Ticengo, provincia di Cremona, in comproprietà con la moglie. Mentre, come precedenti nel settore trasporti, il senatore grillino può vantare solamente la guida della sua Volkswagen Golf del 2011. Che è anche un inno al pauperismo pentastellato: è diventato deputato nel 2013 e manco la macchina s’è cambiato…
ESPERTO DI RIFORME
Senatore, alla seconda legislatura, per cinque anni Toninelli dedica tutta la sua attività parlamentare non ai treni e neanche alle dighe. Ma alle riforme. E con discreto successo. Varca la soglia di Montecitorio da neofita assoluto. Ma mentre altri suoi colleghi grillini vagano per il Palazzo con la bocca aperta a caccia degli sprechi della Buvette o delle macchine da fotocopie inceppate, il cremonese focalizza subito l’obiettivo. Chiede e ottiene di entrare in Commissione Affari Costituzionali e comincia a studiare i dossier.
Toninelli appartiene all’area pragmatica dei grillini. Cresce non perché spinto da una cordata, ma per meriti acquisiti sul campo. Nell’era dei Cinquestelle delle origini, è uno dei primi a rompere il black-out mediatico. Va regolarmente in tv e funziona, parla bene. Così, mentre altri subiscono l’embargo di Rocco Casalino, Danilo ha libero accesso alle trasmissioni di approfondimento e ai tg.
E’ il primo a mettere il naso fuori dal recinto. Succede nell’autunno del 2014. Quando, anche grazie alla sua mediazione, il M5s rompe l’isolamento e si accorda col Pd sui candidati per il Csm e la Consulta. C’è un tentativo di replicare l’accordo nella scelta del presidente della Repubblica. Toninelli fa sapere informalmente che i grillini sono disponibili a votare Romano Prodi. Ma il patto non quaglia e Matteo Renzi fa da solo, scegliendo Sergio Mattarella. Nel frattempo in Commissione Affari Costituzionali il “riccioluto” stabilisce una buona relazione anche con il leghista Giancarlo Giorgetti. Questo rapporto diventerà poi molto funzionale alla formazione dell’attuale maggioranza gialloverde.
Il resto è storia recente. A inizio legislatura Toninelli è eletto capogruppo dei senatori pentastellati. La sua ascesa non è finita. Di Maio lo vuole in squadra nel governo gialloverde. Ma ha un problema. Il Quirinale non vuole Laura Castelli, No Tav dichiarata, alla guida del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Giggino, che ha già altre contese aperte con il Colle, su quella casella molla. E ci finisce, con la stessa dinamica della roulette russa, Toninelli, precedentemente destinato alle riforme istituzionali.
Danilo ora comincia la sua terza vita, forse la quarta. L’esperto grillino di Costituzione e sistemi elettorali fino a cinque anni fa era ispettore tecnico per una agenzia assicurativa. Prima ancora, dopo la laurea in giurisprudenza, era stato ufficiale dei carabinieri. Ha due figli piccoli, ai quali “voglio dedicare più tempo possibile”, spiega, “una volta finita l’esperienza nelle istituzioni”. Cioè al termine della sua seconda legislatura, questa qui.
84 VOTI
L’esordio in politica? Un disastro. Si candida alle elezioni regionali lombarde nella sua Provincia, Cremona, e prende 84 voti. Anche l’ultima esperienza elettorale non è stata brillante. Il 4 marzo ha messo in curriculum un nuovo segno meno, perdendo la sfida nel collegio uninominale contro Daniela Santanché. Eppure oggi si ritrova ministro con portafoglio.
IL CONCENTRATO
Durante le giornate epiche della stesura del contratto di governo, Toninelli c’era. Ha pubblicato su Facebook una foto con un’espressione assorta e una didascalia in cui rivendicava la sua massima “concentrazione” sul lavoro che stava facendo. In realtà era una faccia un po’ così, da nerd, e la rete lo ha preso in giro per giorni. Come capo di gabinetto ha scelto Gino Sciacca, un costituzionalista. Magari uno di cui si fida, ma senza competenze specifiche sulle deleghe del ministero. A breve sarà affiancato da un vice ministro leghista (probabilmente Edoardo Rixi) incaricato di fare la guardia alle opere pubbliche del Nord. Pure la sinistra gli sta addosso. Passando le consegne, Graziano Delrio ha spiegato al suo successore che ci sono cantieri per 130 miliardi di euro già finanziati: “Devi solo andare a tagliare i nastri”. Ma si sa che i grillini non hanno una passione per il cemento. Per cui Toninelli, sui dossier più scottanti, temporeggia: “Valuteremo l’analisi dei costi/benefici della Torino-Lione, è possibile che su quella linea non passerà mai un treno…”.