E’ la prima uscita pubblica di Paolo Savona da ministro. A mercati chiusi e in un luogo, la Stampa estera, scelto non a caso. Le cancellerie europee non lo volevano al governo. In particolare la Germania. E anche il Quirinale. Che ha posto il veto sul suo nome come possibile ministro dell’Economia, facendo saltare così il primo tentativo di formazione di un esecutivo gialloverde. Poi, appena sull’orlo del baratro di un voto anticipato, si è giunti a un compromesso. Che ha portato Savona alla guida del dicastero delle Politiche comunitarie. Dove, sussurrano i suoi detrattori, non potrà fare danni.
“NON PARLO”, MA POI PARLA
“Parlerò della mia attività di ministro quando sarà deciso l’orientamento del governo sui problemi da affrontare”. La conferenza stampa, precisa Savona, è stata organizzata dall’editore, Rubbettino, e “io ho risposto a un loro invito”. Ma questo, ribadisce, “non significa che rompo il silenzio sull’attività che svolgo. Mi sto preparando ad affrontare temi complessi e delicati”. Savona dice di non voler parlare. Poi, in realtà, quando comincia, non finisce più. “Mi hanno chiesto l’abiura, e se l’avessi fatta sarei al ministero dell’Economia. Poi uscendo avrei dovuto dire “eppure si muove”, come Galileo… ma non ci si comporta così”. Il ministro spiega, una volta e per tutte, la sua opinione sull’unione monetaria: “L’euro non solo ha aspetti positivi, ma indispensabili: se vuoi avere un mercato unico devi avere una moneta unica, perché se permetti all’interno di un mercato che le monete si muovano tu rompi l’unità del mercato”. La “costruzione europea”, però, “va perfezionata”. E sarebbe importante dotare la Banca centrale europea di uno “statuto simile a quello della Fed statunitense”. Non c’è un piano B per uscire dall’euro, assicura, ma “pur nel rispetto del vincolo del 3% tra deficit e Pil, serve una conciliazione”. Savona dice che l’euro è indispensabile? “Mi fido di lui”, commenta Matteo Salvini, “ma è una moneta nata male”.
“COME UN INCUBO”
L’autobiografia del prof si intitola “Come un incubo e come un sogno”. E ripercorre cinquant’anni di attività pubblica dell’economista. Che ha collezionato decine di ruoli di prestigio: incarichi in Bankitalia, nelle università, in Confindustria, nei ministeri. Ripercorrendo la sua vita personale e professionale, Savona risale alla fonte delle contraddizioni del Belpaese: gli italiani. Troppo fissati con le rendite e troppo ribelli di fronte alle regole. Per cui la questione non è solo economica. Ma pedagogica. I cittadini vanno educati meglio se vogliamo un Paese migliore.
Il libro è stato scritto quando Savona, ottantaduenne, non pensava neanche lontanamente di tornare a fare il ministro: “Ero nel mio ovile sardo e avevo ripreso la cittadinanza di Cagliari”, rivela, “poi sono stato raggiunto da una telefonata”. Quella di Salvini, che gli proponeva un posto nel governo giallo-verde. Al dicastero dell’Economia. Come sono andati i fatti si sa. Savona dice di non avere rimpianti: “Un senso di sollievo ce l’ho avuto nel passaggio da un ruolo all’altro”, quando è stato Giovanni Tria ad andare in via XX Settembre. “Bisogna essere giovani”, aggiunge, per assolvere a quell’incarico.