Salta il comma sulla commercializzazione della cannabis light. La presidenza del Senato ha giudicato la norma estranea per materia e ne ha decretato lo stralcio dalla legge di bilancio. La mannaia degli uffici della presidente Elisabetta Alberti Casellati ha colpito una quindicina di misure inserite nel maxiemendamento che con la manovra ci entravano poco. La polemica, però, si è concentrata solo sulla marijuana legale. Perché Pd e Cinquestelle hanno visto un’intenzione politica nell’intervento della seconda carica dello Stato. L’opposizione, invece, ha sottolineato la decisione con applausi e urla di approvazione.
Insomma, il solito teatro. Reso ancora più incandescente dal fatto che, raramente in passato, si era assistito a un dibattito così serrato intorno a una manovra di bilancio. Il maxi emendamento del governo è arrivato domenica sera. Ieri il governo ha posto la fiducia, imponendo al Parlamento una scelta obbligata: approvare senza modificare. E senza discutere. Minestra o finestra. Per cui, l’intervento della presidente Casellati è finito per rompere il sogno governativo di un percorso netto.
La maggioranza è insorta. Non solo per ragioni ideologiche – si sa quanto la sinistra ci teneva alla “conquista” dello spinello (light) libero – ma anche per prosaiche motivazioni di cassa: far riemergere il settore della “maria” avrebbe portato un gettito stimato di 500 milioni di euro.
I senatori pentastellati Alberto Airola e Massimo Mantero, intervenendo in aula, hanno sottolineato che lo stralcio delle norme sulla cannabis light significa assestare un duro colpo agli agricoltori del settore, che invece si attendevano un sostegno. E hanno accusato i colleghi di Lega e FdI di aver strumentalizzato ideologicamente la questione. A quel punto è intervenuto Matteo Salvini. Il leader della Lega ha ringraziato pubblicamente la presidente Casellati “a nome di tutte le comunità di recupero dalle dipendenze che lavorano in Italia e a nome delle famiglie italiane per aver evitato la vergogna dello Stato spacciatore”. La leader di FdI Giorgia Meloni ha parlato di “vittoria di chi si batte per una vita libera da ogni tossicodipendenza”.
Il Partito democratico se l’è presa con la Casellati. La deputata Chiara Gribaudo ha chiesto alla presidenza del Senato di rivedere la propria decisione sull’inammissibilità e di fugare “ogni dubbio sulla possibile mancata imparzialità” di quest’ultima, mentre il grillino Giuseppe Brescia ha chiesto le dimissioni della seconda carica dello Stato, definendo “inammissibile il suo comportamento”.
Sul caso è intervenuto anche il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, che “pur rispettando la decisione e l’autonomia” della presidente del Senato, si è definito “amareggiato” perché “l’emendamento avrebbe colmato un vuoto normativo e regolamentato un settore”.
Chiamata in causa, Casellati è intervenuta in corso di seduta per motivare la sua scelta: “Tutte le mie decisioni sono scevre da condizionamenti politici, sono meramente tecniche. Non si tratta di ledere le ragioni degli agricoltori: questo è un emendamento di natura ordinamentale”, perché “si estende l’ambito di applicazione della legge, prevedendo la liceità della vendita della canapa”. Insomma: se la maggioranza vuole legalizzare la cannabis light, deve fare una legge ad hoc.