Silvio Berlusconi ritira la propria candidatura al Quirinale. Nel contempo dice no all’ipotesi che possa essere Mario Draghi il nuovo inquilino del Colle. E restituisce il boccino al centrodestra. Toccherà a lui e ai leader della coalizione fare una proposta agli altri partiti, avendo il maggior numero di grandi elettori.
Chi pensava che il Cavaliere levasse il disturbo senza scombussolare i piani altrui – vedi Enrico Letta e Matteo Renzi – evidentemente lo aveva sottovalutato. Tutta la trama tessuta in questi giorni dai partiti di sinistra va perduta. Ammesso che il centrodestra sia in grado di proporre una soluzione alternativa e fattibile. Perché già ieri, durante il vertice in streaming, gli alleati hanno litigato sul prosieguo della legislatura: Lega e Forza Italia vogliono andare avanti, Fratelli d’Italia no.
Però ora che il caso Berlusconi è risolto, Matteo Salvini può riprendere in mano la trattativa, facendo leva soprattutto sul disagio interno ai Cinquestelle. Pure loro, i grillini, non vogliono Draghi. Perché temono che una crisi di governo possa avvicinare il giorno delle urne. O, in alternativa, di uscire ridimensionati dalla formazione di un eventuale nuovo esecutivo, il quarto della legislatura.
Casini per Draghi
Draghi esce depotenziato. Ma non è ancora fuori gioco. In assenza di un accordo politico tra i partiti, è sempre l’ex banchiere il favorito. Eppoi: siamo sicuri che una parte di Forza Italia, nel segreto dell’urna, non sarebbe tentata dal votare il presidente del Consiglio in carica? Vedremo. Ma le parole di Berlusconi sono state chiare. Il Cav arriva alla decisione al culmine di una giornata complessa. Fino all’ultimo ha messo in dubbio il passo indietro, nonostante ricevesse pressioni. Soprattutto dalla famiglia e dai vertici delle aziende.
La giornata
In mattinata, da Arcore, arrivano segnali contrastanti. Per qualche ora ha rivissuto l’Operazione Scoiattolo, con l’adesione a Forza Italia del senatore ex M5S Saverio De Bonis, secondo “acquisto” azzurro in poco tempo dopo l’arrivo, venerdì, della senatrice Antonia Vono, ex Italia Viva. Innesti che vengono interpretati come un messaggio agli alleati: lo scouting non si è fermato. A metà pomeriggio Silvio convoca i ministri e i dirigenti azzurri. Riunione in cui l’ex premier continua a tentennare, senza nessuno (o quasi) che lo metta di fronte alla realtà: i numeri per essere eletto al Quirinale non sono certi. Sicché, alla fine della riunione, la classe dirigente forzista lascia carta bianca al leader: “Qualsiasi decisione prenda, ci sta bene”. A quel punto comincia il conto alla rovescia per l’altro vertice, che è il pezzo forte della giornata: la riunione in streaming con i vertici del centrodestra. Passano i minuti, il collegamento non parte. Salvini e Meloni iniziano a spazientirsi. Temono che il Cav voglia prendere altro tempo.
Silvio non c’è
Alla fine però il video si illumina. Ma dall’altra parte del computer non c’è Berlusconi. In sua vece appare Licia Ronzulli. La vice presidente dei senatori azzurri informa che il Cavaliere non parteciperà alla riunione. Ma ha pronta una lettera in cui annuncia l’intenzione di ritirare la propria disponibilità a candidarsi al Quirinale. E non per carenza di voti, precisa Silvio, quelli c’erano: “Dopo innumerevoli incontri con parlamentari e delegati regionali, anche e soprattutto appartenenti a schieramenti diversi della coalizione di centro-destra, ho verificato l’esistenza di numeri sufficienti per l’elezione”. E allora perché il passo indietro? Per spirito di servizio, argomenta: “Ho sempre posto l’interesse collettivo al di sopra di qualsiasi considerazione personale. L’Italia ha bisogno di unità per fare uscire il paese dalla crisi. La Nazione riparte nei momenti difficili se tutti sappiamo trovare, come avvenne nel dopoguerra, un senso comune di appartenenza nella nostra democrazia, superando le lacerazioni”.
“Mi faccio da parte”
Premesso tutto questo, Berlusconi arriva a due conclusioni. La prima: “Ho chiesto a quanti lo hanno proposto di rinunciare a indicare il mio nome”. La seconda: “Considero necessario che il governo Draghi completi la sua opera fino alla fine della legislatura per dare attuazione al PNRR”. Queste ultime parole da un lato soddisfano Salvini (“Gesto fondamentale per il bene del Paese e della coalizione”), dall’altro fanno arrabbiare Meloni. FdI contesta il passaggio del comunicato in cui Berlusconi chiede di mandare avanti la legislatura, quando loro invece vogliono le elezioni anticipate. Un’altra lite nasce intorno alla guerra di “veline” che si scatena tra alleati. Sembra che qualcuno stia veicolando il “no” di Meloni a Draghi, come per scaricare sulla destra la responsabilità dell’alt al premier. Ma “noi di Draghi non ne abbiamo mai parlato”, è la risposta di FdI. Durante la riunione, precisa Meloni, “non sono state proposte candidature né sono stati posti veti”.
E ora? Subito dopo il vertice, Salvini ha contattato i segretari degli altri partiti. Il centrodestra lavora a una rosa di nomi, ha anticipato il Capitano, “tutti di altro profilo”.