A un certo punto Donato Toma prova il colpaccio. Il presidente della Regione Molise si divincola dal labirinto della cabina elettorale. Deposita la scheda (presumibilmente bianca) nella zuppiera. Poi si avvicina ai commessi a cui dovrebbe restituire la matita, strusciando il passo sulla moquette, con fare da gattone: “La posso tenere?”. L’audio in tribuna stampa non arriva, ma la mimica è inequivocabile. Quella di Toma. Ma anche quella degli assistenti parlamentari. Uno dei due allarga le braccia. Come a dire: “Ma fai un po’ come ti pare…”
Ecco, il governatore rientrerà a Campobasso con un souvenir a suo modo storico. Anche se il lavoro dei grandi elettori non è affatto finito, anzi: è appena cominciato. Dal vortice delle riunioni di giornata i parlamentari “semplici” hanno capito che la soluzione del rebus non si avvicina. Semmai si allontana. Ma chi se ne frega: il livello di nervosismo si affievolisce man mano che dai generali si scende al grado delle fanterie.
Per tanti – soprattutto per i fuorisede – è tipo una vacanza. La chiacchiera, il pranzo nelle trattorie tipiche, un selfie da postare su Instagram. Nel frattempo, nei capannelli, ci si interroga su uno dei dilemmi di giornata: ma Pier Ferdinando Casini è di centrodestra o no? “Non lo è più”, spiega Antonio Tajani arrivando a Montecitorio. In effetti, si ragiona in un consesso di parlamentari azzurri, a un certo punto Pierfy ha preso la tangente (in senso geometrico) e si è ritrovato, sia pur da indipendente, nel Partito democratico. “Però meglio lui di Draghi”, si ragiona. Ed è un ragionamento diffuso non solo in Forza Italia. L’antipatia verso il presidente del Consiglio serpeggia un po’ ovunque, a destra e a sinistra. I grillini non lo vogliono sentir nominare. Temono che la sua ascesa al Quirinale inneschi una serie di meccanismi a catena tali da accelerare la fine della legislatura. Stesso discorso nel Pd, checché ne dica Enrico Letta. Le correnti hanno paura di uscire ridimensionate dall’eventuale crisi di governo.
In Forza Italia si aspetta la zampata di Silvio Berlusconi. Gli azzurri vivono male il protagonismo di Matteo Salvini (“Sta facendo tutto lui”) e temono il peggio. A un certo punto una ministra forzista si sfoga in uno dei corridoi laterali: se Draghi trasloca al Quirinale, addio ministero. Va assolutamente evitato. Adriano Galliani rassicura tutti sulle condizioni di salute del Cav. Poi esce dall’ingresso principale di Montecitorio e ribadisce il concetto anche davanti ai taccuini: “Sono con lui da 42 anni. E’ un fuoriclasse assoluto, quindi credo che Silvio qualcosa farà”.
I grillini erano nemici. Ora vanno a braccetto. Luigi Di Maio molla la Farnesina per qualche ora e si trattiene in via Uffici del Vicario, nelle stanze del gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle, insieme con Luigi Gubitosa. Anche lì il discorso è quello di sminare l’ipotesi voto. Trattative su trattative. Ma tutto questo chiacchiericcio infastidisce Vincenzo De Luca. ‘O governatore si sfoga con i parlamentari campani. Ce l’ha con gli “sfaticati” romani. “Da noi sì che si lavora, mica qua!”. Poi vota e se ne va, con il telefono perennemente tatuato all’orecchio destro.
E’ nebbia fitta. Bruno Vespa è a caccia di indiscrezioni. Si trattiene a lungo a colloquio con un ministro, ma quando lo saluta si rende conto di avere il taccuino vuoto: “Questo non sapeva niente…”, sospira. Comincia il rito stanco delle votazioni in bianco. Sia fuori, nel drive in, – dove, tra positivi e in quarantena, sono iscritti a votare sedici grandi elettori -, sia dentro, nell’emiciclo. Un sottosegretario ha dato disposizioni ai suoi fedelissimi di votarlo. Perché? Così, per soddisfazione personale. Ma a fine giornata è arrabbiato: “Mi hanno dato due voti, uno è stato invalidato…”.
Infine, per la rubrica compleanni e ricorrenze, si segnala il genetliaco di Laura Ravetto. La deputata della Lega ha festeggiato in un ristorante di Piazza di Pietra, a due passi da Montecitorio. Pranzo intimo, con la senatrice azzurra Gabriella Giammanco e le amiche del cuore.