Sulla guerra, o meglio, sull’opportunità di inviare armi all’Ucraina, rivive l’asse gialloverde. Ci sono perplessità soprattutto sull’aumento delle spese militari. Principalmente nel Movimento 5 Stelle, ma anche nella Lega. E oggi è il giorno della verità al Senato. Perché sarà posto in votazione un ordine del giorno al decreto Ucraina sugli investimenti in armamenti. Il Carroccio è orientato a votarlo come già ha fatto alla Camera, salvo singole defezioni. I guai sono tra i grillini, dove è in corso la solita battaglia interna tra fazioni. Giuseppe Conte ha ribadito che il M5s non intende mettere un euro in più sulla difesa, ma poi ci sono Luigi Di Maio e i suoi che la pensano diversamente.
Matteo Salvini ha assicurato che la Lega voterà per il decreto Ucraina anche a Palazzo Madama, però ha dato voce pubblicamente al malessere che serpeggia tra i leghisti: “Io stento ad applaudire quando si parla di armi”, ha sostenuto.
Ad alimentare il disagio ha contribuito il capo del governo. I gialloverdi ieri non hanno apprezzato l’intervento di Mario Draghi alla Camera, quello che il presidente del consiglio ha tenuto in aula subito dopo il discorso del presidente ucraino Zelensky. Nelle file della Lega e dei Cinquestelle è comune l’opinione che le parole del premier siano state “sopra le righe”. A maggior ragione dopo l’intervento di Zelensky, che è stato moderato. “Non ha chiesto nulla all’Italia, non ha parlato neanche di No fly zone. Perché il premier ha dovuto ancora una volta fare accenno all’aiuto militare?”, si sono domandati vari esponenti della Lega, “è stato un discorso stonato nei toni”. Non è piaciuto, in particolare, il passaggio dove l’ex banchiere ha aperto all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, tema che non è affatto in agenda. E che Zelensky non ha accennato.
Ma è un malessere che rimane sottotraccia. Non a caso, alla fine dell’intervento, Draghi è stato salutato da una standing ovation diffusa in tutti i settori della maggioranza. Il segretario dem Enrico Letta ha apprezzato le parole del presidente del Consiglio. E così anche i centristi, da Toti a Lupi, e molti parlamentari di Forza Italia. “La nostra collocazione è chiara: con l’Occidente, la Nato, l’Ucraina”, ha tagliato corto Antonio Tajani, vice presidente azzurro.
Restano le perplessità di Salvini: “Le armi non sono la soluzione”, ha ribadito il leader leghista. Ma non solo le sue. La sinistra-sinistra, anche al Senato, si pone sulla stessa lunghezza d’onda di Conte, cosa che fa arrabbiare il Pd. “Se la Germania mette 100 miliardi e la Francia più di 50, come è possibile che noi ancora siamo a discutere se passiamo da 21 a 25 miliardi?”, si chiede un esponente dem intercettato dall’Agenzia Italia. “E’ vero che le priorità per gli italiani in questa fase sono le bollette e il caro carburante, ma c’è anche una questione di sicurezza”.
E sempre nei Cinquestelle esplode il caso di Vito Petrocelli, che annuncia il suo voto contrario sul decreto Ucraina. Non è uno qualsiasi, ma il presidente della Commissione Esteri del Senato: “L’atto militare della Russia contro l’Ucraina è da condannare”, ha premesso, “non condivido però la posizione italiana che vuole mandare armi a una delle parti in conflitto”. Poi Petrocelli ha messo nel mirino il suo partito: “L’atteggiamento del Movimento 5 Stelle è lontanissimo dal programma con cui abbiamo vinto nel 2018”. Petrocelli non ha timore di rappresaglie e non vuole mollare la poltrona al Senato: “Il Movimento prenderà una decisione, può decidere di espellermi. Il presidente Conte può fare quello che vuole. Vogliono espellere un senatore perché non vota per l’invio di armi a un Paese in guerra? Vedano loro quali sono le conseguenze”.